Clamoroso retroscena svelato da un’inchiesta sul doping, Jannik Sinner merita davvero la squalifica? Scoppia la polemica!
La stagione 2025 di Sinner è ufficialmente iniziata con la partenza del giovane altoatesino alla volta dell’Australia. A Melbourne, Jannik sarà chiamato a difendere il titolo di campione nel primo slam dell’anno, dopo aver rotto il ghiaccio disputando un paio di match di esibizione. Giocherà, tuttavia, continuando a convivere con la spada di Damocle della possibile squalifica per doping.
Lo ricordiamo, infatti, dopo che la WADA ha presentato ricorso contro la sentenza di assoluzione pronunciata dall’ITIA, il tennista azzurro è in attesa di essere nuovamente giudicato: l’Agenzia Mondiale Anti-doping ha chiesto per lui un periodo di ineleggibilità compreso tra 1 e 2 anni, il verdetto del TAS dovrebbe arrivare tra il mese di febbraio e quello di marzo. Ad oggi, c’è grande incertezza circa le sorti del leader del ranking mondiale.
Intanto, chiaramente, la vicenda continua a tenere banco in maniera prepotente tra appassionati ed addetti ai lavori. Tanto da diventare l’oggetto di un’inchiesta condotta dal “New York Times”. La nota testata americana ha comparato il caso Sinner a quello di 23 nuotatori cinesi risultati positivi alle Olimpiadi di Tokyo del 2021, identificando – di fatto – una significativa incongruenza tra l’atteggiamento mostrato dalla WADA all’epoca rispetto a quanto stiamo assistendo attualmente con il classe 2001 tirolese.
La vicenda ebbe inizio verso la metà del 2020, quando la WADA fu messa al corrente da un’unità investigativa interna che la Cina stava portando avanti un programma di doping. “Tra i modi in cui gli atleti cinesi imbrogliavano c’era l’assunzione di quantità non rilevabili di un farmaco per il cuore poco noto. La trimetazidina, che può aiutare ad aumentare resistenza, durata e recupero”, si legge sul New York Times.
Al che la WADA decise di ignorare quel report, ma sette mesi più tardi emerse la positività di 23 nuotatori cinesi di alto profilo. “Quando la Wada è venuta a conoscenza dei test positivi, i massimi dirigenti non hanno preso provvedimenti. Anzi, hanno messo da parte l’unità investigativa, scegliendo di non dire ai suoi investigatori e analisti che i nuotatori erano risultati positivi, assicurandosi che la questione non sarebbe stata ulteriormente esaminata“, rivela il NYT.
Allora i cinesi difesero i propri atleti, affermando che i nuotatori erano stati inconsapevolmente contaminati dalla trimetazidina attraverso del cibo, ma non poterono dimostrare – ovviamente – come la sostanza dopante fosse giunta in cucina. Clamorosa la reazione della WADA, che sottolineò l’assenza di “alcuna base per contestare la spiegazione della contaminazione”.
Più praticamente, il New York Times ha portato alla luce che la WADA coprì un grosso scandalo appena qualche anno fa. E in tale contesto viene da chiedersi: con quale coraggio, oggi, l’Agenzia Mondiale Anti-doping perseguita con accanimento il nostro Jannik?
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